Obiettivo del progetto era il superamento della barriera architettonica rappresentata dall’enorme dislivello esistente fra la quota della Piazza San Michele e quella degli attuali unici accessi alla chiesa, posti a circa mt. 4,70 di altezza. Formalmente il progetto è ispirato a criteri compositivi di massima semplicità e sobrietà, se non ad un rigoroso minimalismo. Esso prevede, infatti, la realizzazione di una semplice sequenza in linea di piani inclinati, intercalati da pianerottoli di sosta, che risvoltano attorno ad un setto murario che svolge funzione di contenimento terra. Tale setto, in virtù delle sue importanti dimensioni in lunghezza ed altezza, assume valenza architettonica di elemento dominante ed ordinatore di tutta la composizione; valenza accentuata dal suo combinarsi – all’estremità che si protende verso la piazza San Michele – con un altro elemento murario dall’avvolgente forma semiellittica che, risolvendo il raccordo fra il grande setto ed il sagrato sopraelevato della chiesa, definisce uno spazio racchiuso di sosta ed aggregazione sociale. Il setto rettilineo è altresì caratterizzato da un motivo plastico ricavato per ‘intaglio’ nella citata testata verso la piazza, che, pur senza definirlo in maniera esplicita, allude al simbolo per antonomasia dell’iconografia religiosa cattolica, al quale si è voluto attribuire il valore di segnale inequivocabile dell’identità e presenza della nuova architettura. Per assecondare, poi, il linguaggio brutalista e la sincerità strutturale dell’edificio preesistente (temi tipici e ricorrenti di certe architetture degli anni ’60), oltre che il diffuso degrado del quartiere – che si sono voluti qui interpretare enfatizzandoli, piuttosto che negandoli, poiché in essi è chiaramente ravvisabile il ‘genius loci’ della preesistenza e del contesto edilizio ed ambientale – si è optato, nella scelta dei materiali, per il ferro ossidato (per cancellate, torretta ascensore e parapetti) ed il calcestruzzo a vista (muri in elevazione), ancorché riscattati dalla loro ‘ruvidezza’ da textures e finiture superficiali ricercate. Si è voluto così fornire alla chiesa, ed a ciò che essa rappresenta, l’opportunità di protendersi fisicamente e simbolicamente verso il quartiere ed il suo contesto sociale entrando in dialogo con essi e parlando il loro stesso linguaggio, piuttosto che ponendosi in antagonismo con l’uso di un simbolismo altisonante e scostante. Ultimo, ma non meno importante intento è stato, infine, quello di dimostrare come l’architettura possa anche farsi interprete del disagio e, trasponendolo in forme, volumi e spazi significativi e ‘notevoli’, possa portarlo all’attenzione della collettività, riaffermando allo stesso tempo – per il tramite della sua qualità compositiva - la dignità del contesto che l’ha generata.